Nella pioggia i passi sono sempre più pesanti, dissetano le orme e suturano l’acqua, mentre la città borbotta e i rumori sordi amplificano tutto questo primordiale subbuglio; scruto la condensa di un vetro che cela due figure che si giurano amore, questo sentimento profuma di lindo, è un arcobaleno in questa giornata così uggiosa, mi piace fantasticare sul sapore delle promesse, quelle di un amore eterno, di un tetto congiunto, soprattutto in queste stagioni dove le parole date sono tante e i fatti, a volte, granelli di sabbia intrisi d’argilla.
Mi piace pensare che ci siano solide fondamenta, voglia di costruire, di moltiplicare le nostre carni per allontanare gli spauracchi degli analisti che disegnano il futuro delle famiglie sempre più circoscritto, amori fluidi, poca empatia nel rapporto di coppia e figli con il contagocce, come se tutte queste cause e oltre rappresentassero rapporti di cartapesta pronti a disgregarsi al tamburo della pioggia battente.
Oggi lo spettro delle responsabilità, dell’incertezza imbullona la mente delle coppie, annebbia le utopie realizzabili, sembra che ogni forma di responsabilità renda meno nitido l’orizzonte.
Stiamo diventando un popolo che non sa più sognare come se ogni timore assopito fosse lì a minare le nostre certezze, si fa fatica a guardare oltre i muri che si presentano durante la corsa ad ostacoli, simbologia della vita di ognuno di noi.
Amare è fatica, costruire è fatica, la prospettiva è fatica, stare insieme è un impasto di voglia, amore e sudore, la casa comune ne è l’esempio perfetto, superfici sempre più limitate ad accogliere sogni e speranze sempre più modesti.
Si stima che tra 20 anni una coppia su quattro avrà un figlio, un processo di natalità negativa consolidata ormai da tempo, una tendenza che tende ad ingrossare i numeri e che, ad oggi, non riesce essere invertita.
Le famiglie con un numero limitato di membri stanno determinando un cambiamento radicale nelle dimensioni e nell’organizzazione degli spazi abitativi. Questo cambiamento ha conseguenze rilevanti, considerando che le strutture abitative e la distribuzione degli spazi erano precedentemente progettate per ospitare famiglie più numerose.
Questa trasformazione richiede una revisione delle politiche abitative e della progettazione urbana, al fine di adattarsi alle nuove esigenze e ottimizzare l’utilizzo delle risorse.
Mi chiedo se è tutta colpa di questa generazione o se diversamente è il popolo brizzolato, stanco della vita, ad aver accelerato e amplificato questo malessere.
Si racconta che sia per la mancanza di riforme strutturali che consentono alla donna di eseguire scelte consapevoli e non forzate, altri invece puntano il dito sulla parità dei sessi, alcuni sulla precarietà del lavoro, tutto giusto e forse tutto sbagliato ma voglio essere fiducioso, voglio vedere ancora oltre lo scorrere del tempo, voglio sentire la capacità di gettare il cuore oltre le pareti, di non seguire la massa ma di osare oltre la corrente, perché si può sfidare il mondo senza imbracciare un’arma ma solo con tanta consapevolezza di noi stessi.
So che non si può ridurre un argomento così complesso a poche parole ma coltivo dentro di me un sogno e tanta fiducia, un colpo di tosse, poso il binocolo, passo e chiudo.